Monday, September 21, 2009

Mi laureo!

È con grande piacere che annuncio che mi laureerò domani (22 settembre) in Ingegneria Matematica!
Ora le informazioni logistiche, per chi fosse interessato (in ordine sparso come i pochi neuroni che mi sono rimasti).

La discussione avrà luogo nella mattinata, in orario ignoto compreso tra le 8:30 e le 11, nella sede del Politecnico, Milano Leonardo (stazione di Milano Lambrate oppure metro verde fermata Piola). Per chi fosse interessato io salirò in macchina (presto, tipo partendo alle 7 da Lodi), oppure consiglio un treno come l'8.01 da Lodi. L'orario verosimile sarà intorno alle 9.
Più nei dettagli mi troverete nell'edificio "Nave", aula B2.2 (al 1° piano se non erro). La Nave la trovate qui (è un percorso dalla stazione di Lambrate alla Nave).

La tesi, combinata in due, riguarda la localizzazione di sorgenti inquinanti. La presentazione sarà abbastanza tecnica, ma anche un profano potrà cogliere il senso di quel che abbiamo fatto.
Bene, ora mi svacco in attesa di domani..
e poi.. montagna!
Francesco

Tuesday, April 14, 2009

Facebook: un'identità virtuale diversa



Nel lontano 2004, l'allora ventenne Mark Zuckerberg, studente di Harvard e smanettone del computer, ebbe quella che si potrebbe chiamare una buona idea: creare un luogo che potesse essere uno specchio della realtà. Detto così suona un po' banale, ma in realtà...

Fin dalla nascita di internet, questa enorme rete globale, nacquero miriadi di siti e portali che permettevano a chi si fosse iscritto di immettere contenuti personali: una sorta di diario, insomma, a disposizione di tutti. All'inizio l'utente poteva pubblicare solo testi; con il progredire della tecnologia, nel giro di qualche anno, anche foto e video. Una persona che avesse l'accesso a internet era perciò in grado di pubblicare, condividere parti della sua vita che ritenesse opportune. Ancora mancava qualcosa, però: nella frenesia di libertà e privacy tanto sbandierate, si era perso qualcosa: tutti questi siti e forum e chat vedevano l'utente come tendenzialmente anonimo, identificato al più con un soprannome che ognuno si sceglieva. Il fatto è che i contenuti pubblicati erano visibili a tutto il mondo: per conservare un po' di privacy si imponeva quindi l'anonimato. Questo sistema, tuttora in voga per molte cose, più o meno legali, più o meno ragionevoli, più o meno auspicabili, ha però il difetto di essere totalmente scollegato dalla vita reale. Pur nelle sue mille contraddizioni, l'uomo contemporaneo ancora apprezza l'armonia e la concretezza!

È forse per questo che quando il buon Zuckerberg ha proposto questo "Libro delle facce", in cui gli studenti di Harvard potevano immettere nome e cognome e dati vari, foto personali, video e opinioni, e fare in modo che grazie a sistemi informatici questi dati potessero essere visti solo da chi consideravano come amico, l'accoglienza è stata calorosissima. Finalmente uno strumento informatico di supporto alla vita reale, e non una vita virtuale che si aggiunge a quella offline. Facebook si è esteso a macchia d'olio negli USA, finché nel 2006 tutti i maggiori di 13 anni (in tutto il mondo!) hanno avuto il permesso di creare il proprio profilo, o identità digitale, sul sito. Ad oggi a Facebook fanno riferimento qualcosa come 200 milioni di persone da paesi di tutto il mondo, e la crescita è vertiginosa. Ognuna di queste persone ha degli amici con cui condivide le proprie foto, a cui scrive per sentire come stanno, che invita a eventi e con cui si tiene in contatto tramite internet; il tutto con una facilità che dice molto della tecnologia che abbiamo oggi a disposizione, e gratis - perché il sito si autosostiene grazie alla modesta e discreta pubblicità che è proposta agli utenti.

Qualche lato negativo? Solo quelli che la vita reale già presenta: il rischio di relazioni vuote, asettiche; il rischio di sprecare il proprio tempo, magari compilando l'ultimo quiz su quale attore di Hollywood saresti?; il rischio dell'esibizionismo e del voyeurismo digitali, tra la facilità di indossare la maschera che più ci aggrada e quella di passare il tempo a studiare i fatti degli altri; il rischio del furto d'identità, da parte di buontemponi che si spacciano per star e calciatori, ma anche di malintenzionati che si offrono di diventare tuoi amici per poter accedere ai tuoi dati; e infine il rischio di mettere online fin troppe informazioni: cose che si confiderebbero solo a una cerchia ristretta, ma che per leggerezza si pubblica per molti, a volte troppi.

Tutti pericoli che occorre prendere in considerazione, non tanto per moraleggiare su Facebook e internet dal di fuori, ma per mettere a fuoco e rispondere a questioni che interrogano la vita concretamente quotidiana, il nostro stile e le nostre scelte: sulla profondità delle nostre relazioni, sul valore del tempo, sul senso delle cose che si fanno, sulla propria sobrietà e umiltà, sulla propria intimità e sulle persone con cui la si vuole condividere.


Francesco Grossi

Tuesday, March 10, 2009

Giovani precari o giovani uomini


Dicono che siamo la generazione della precarietà - immersi in una società liquida, eccetera eccetera. E hanno anche ragione, chiaramente. Però non mi spiego tutto questo meravigliarsi: cosa c'è di tanto inusuale nel constatare che tutta la nostra esistenza è precaria?

Svariati secoli avanti Cristo c'erano già arrivati, ammettendo che solo un soffio è l'uomo che vive. Un attimo: è già passato. E accumula ricchezze e non si sa chi le raccolga (Sal 39). Il fatto è che l'esperienza ha sempre insegnato all'uomo: duramente, ma bene. Un po' come quei terribili professori che facevano sudare il sei, ma alla fine la materia la insegnavano davvero. Si può magari aver da ridire su come sia fatto il mondo - e il suo Creatore ci dovrà spiegare un bel po' di cosette, a suo tempo - però bisogna dire che la precarietà della vita è proprio una cosa semplicissima, facilissima da capire: basta guardarsi intorno. E se anche uno volge la testa dall'altra parte: wham!, la vita ci colpisce comunque: malattie, carestie, ed eventualmente anche morte.

Eppure,
forse per la prima volta dall'alba del mondo, in queste ultime generazioni l'uomo si era quasi sentito sicuro. Sarà stato il benessere; l'assenza di guerre che ci coinvolgessero da vicino; le allegre e ingannevoli cifre del PIL; il moltiplicarsi delle assicurazioni - furto incendio vita, tutto; la meravigliosa invenzione dell'undo, quell'"annulla ultima operazione" che chi usa il computer ha imparato ad apprezzare. Tante comodità che ci hanno illuso, ovattando i rischi del mondo e la nostra consapevolezza insieme. Il problema è che la precarietà dell'uomo rimane. Attenuata, forse, con i nostri medici e maniglie antipanico e backup dati, ma rimane. La morte rimane: è quel genere di nemico che l'uomo non è in grado di sconfiggere.

Forse allora il malessere della precarietà arriva da una disillusione. Pensavamo che il progresso riuscisse a risolvere tutti i nostri problemi; e invece.
Invece ci ritroviamo a barcollare di fronte a qualcosa di così comune come la morte; e siamo disorientati quando il nostro sistema sociale, in piena crisi, non riesce a garantire
a chi arriva adesso le condizioni e opportunità che solo pochi anni fa avevamo.

Proviamo allora ad aprire gli occhi e leggere con intelligenza ciò che la vita ci continua a raccontare: la nostra insufficienza. Motivo di depressione? Non per il cristiano, che proseguendo nel salmo scopre:
Ora, che attendo, Signore? In te la mia speranza. Speranza di un amore che riceviamo quotidianamente, e perché no: di una gioia futura. E possa questa speranza alimentare la consapevolezza di essere solo un soffio, facendoci abbandonare presunzioni e pretese sulla vita, in favore di quel pane quotidiano che il Padre non ci negherà (se davvero ci accontentiamo di quello); e possa questa speranza alimentare la consapevolezza di essere fratelli di tutti gli uomini: fratelli che non abbiamo scelto, semplicemente trovato. E però fratelli, con cui condividere ciò che di buono sappiamo e abbiamo della vita.

Tuesday, February 10, 2009

Math, math...

Tomorrow I'll try The Exam.
PDE stands for Partial Differential Equations.
My desk is a mess - and my mind is not that different.

Monday, February 2, 2009

Eyes wide open

Here's something of Jesus I always admired: his way to look at the people and at the whole world. A true look, eyes clear and sincere.
He never looked the other way: he received everyone, problems and sins comprised.
He didn't neglect the problems people had in them: on the contrary, he made those problems surface, were people could see them and take a decision, with the full freedom we
are given (see Luke 19,8 and Mark 10,22 for different story ends).
He looked at the world and he saw God's fingerprint on it - and it was good.
He looked at the world and he saw God's message for him. (Unless a grain of wheat falls into the earth and dies, it remains by itself alone. But if it dies, it bears much fruit. John 12,24).

Then: eyes wide open, so that we can see the world like Jesus did.
I don't wanna be like those hearing without listening*.

And if we can't see right, may Jesus give us a pair of glasses of his:



Thanks to Cesare for his beautiful insights on Jesus
* Paul Simon, The Sound of Silence

Wednesday, January 21, 2009

Do it with Ubuntu




Hi all - I'm still alive, you know. I have just some 4 exams to cope with at university, so I'm busy enough to forget posting something on this little space.

Today I'm posting a little info about me; on the style I'd like to follow on information&technology matters.

A little history...
I was an early MS Windows user, spending whole hours of my teenages meddling with hardware and software - of course I was nothing like those geniuses from Silicon Valley, not even a geek, but you could say I was a computer enthusiast.

Somewhen near 15 years old I installed my first Linux system - the result was immediate: master boot record deleted, a mission impossible-like data backup, and complete reinstall of Windows. I was a bit scorched, you know.

Years later I was intrigued by Ubuntu - a giant step towards a real usability in Linux, they said. I was still running Win XP and of course I wasn't very happy with it - ok: it was stable and it could run games, but the price was regular format-and-reinstall-all to avoid extreme performance loss. Besides, university brought about a renewed interest for extreme performance applications for numerical mathematics; and I had no more time for gaming, just a few frags occasionally.

It was time to change, and Ubuntu was the way.

Nowadays I use Linux Ubuntu on a regular basis - I boot on WinXP only to manage a few devices with Windows-based drivers, but the frequency is getting very low.

All of this blog is Windows-free: I write with Google Documents in Firefox; the title banner was created with Gimp, and I'm quite proud of it.
You can see I'm budget minded: why to spend money when you can get nearly equivalent products (sometimes better products) for free? And if it's Open Source Software, it's even better.

Just a final note: as I constantly tell people who don't know about Linux:
- 'Ubuntu' comes from a zulu word which means "humanity to others"
- 'Windows' means just windows.