Tuesday, October 19, 2010

Intervista semiseria sull’Università

Ecco un articolo che ho scritto per "Il Colle", giornalino della mia parrocchia, per presentare in modo leggero l'effetto delle ultime riforme universitarie sulla didattica.
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Intervista semiseria sull’Università



Prefazione

Riconosciuto faro del giornalismo d’eccellenza, il “Colle” ha sempre mantenuto alta la qualità degli articoli che pubblica, e anche oggi prosegue sulla via tracciata con questa inchiesta giornalistica sull’Università. Argomento oscuro anche a causa delle continue riforme e controriforme, non ha però scoraggiato la nostra redazione, che ha deciso di affrontare in modo scientifico il problema: abbiamo mandando un inviato speciale a frequentare un corso universitario. Dopo quattro anni di ricerche, approfondimenti e prove sul campo il nostro inviato, il dott. Frossi, è arrivato quasi alla fine del suo percorso di laurea, e ci illustra oggi quanto ha scoperto rispondendo alle domande del nostro redattore dott. Grancesco.
La Redazione



Buongiorno, Frossi. Allora, quattro anni di inchiesta giornalistica: come ti senti?
Un po’ stanchino, a dir la verità, caro Grancesco. Però posso dire di aver scoperto molte cose sull’università.
Non mi dire... comunque, per i nostri lettori: che università hai frequentato?
Il Politecnico di Milano, scegliendo il corso di Ingegneria Matematica, una recente aggiunta all’offerta didattica dell’ateneo.
Su che basi hai scelto il corso?
Ero indeciso, e alla fine ho scelto quello con il nome migliore.
Ottima idea! Bene, passiamo alle tue ricerche... ad esempio, chi vive all’università?
Be’, c’è una fauna molto variegata: ci sono i VO, i NO, i NMO... e questi sono solo gli studenti!
Aspetta, traduciamo per i lettori.
Giusto... allora, gli studenti del Vecchio Ordinamento sono quelli che sono entrati prima della famosa riforma del 3+2, del 1999, quella della Moratti per intenderci. Gente che ora inizia ad essere un po’ attempata, ed è in via di estinzione.. ma ce ne sono ancora diversi in giro: li distingui perché ormai non hanno più nemmeno un capello, e girano con la ventiquattrore - probabilmente studiano e lavorano. Però hanno un’aria tutta orgogliosa: loro appartengono ancora all’università “antica”, con pochi esami e belli grossi.
Va bene, e poi con la riforma del ‘99?
Sono entrati quelli del Nuovo Ordinamento, quelli del 3+2: al governo hanno pensato che visto che i giovani italiani restavano in università per troppi anni, era meglio dividere in due spezzoni il percorso, un po’ come fanno in altri paesi.
Ha funzionato?
Insomma... il tentativo era nobile, ma a posteriori possiamo dire mal congegnato. Sono sorti diversi problemi: innanzitutto gli studenti sono rimasti sempre piuttosto lenti nel fare il percorso universitario “lungo”, tutti e 5 gli anni. La possibilità di uscire dopo tre è stata sfruttata, ma meno di quanto era stato sperato, anche perché il mondo del lavoro cominciava ad essere saturo di laureati, e dava quindi priorità ai laureati di cinque anni.
Altri problemi?
Senza dubbio quello del moltiplicarsi degli esami: con la riforma gli atenei hanno avuto molta più libertà, e hanno spezzettato non solo i percorsi di laurea ma anche gli esami - le malelingue dicono per aumentare il numero di cattedre da assegnare. C’erano lauree triennali con più di 30 esami! Il risultato è che la preparazione è diventata molto più frammentaria, i corsi brevi, tanto che gli studenti non facevano in tempo ad assorbire le materie.
Poi cos’è successo?
È arrivata la riforma Mussi, del 2004, che ha provato a mettere delle pezze alla prima riforma: ha limitato il numero degli esami, 20 alla triennale e 12 alla specialistica, tornando simile al modello antico. L’applicazione di quest’ultima riforma è avvenuta nei due anni appena trascorsi, e gli studenti che entrano ora sono quindi quelli del NuovissiMo Ordinamento.
Tutto a posto allora?
Insomma... Ancora una volta buona l’iniziativa, ma l’attuazione è stata un po’ all’italiana, se passate il termine: spesso e volentieri le università si sono limitate ad appiccicare gli esamini tra di loro, inventando i cosiddetti “Corsi Integrati”, tenuti cioè da più docenti. E magari, per passare un Corso Integrato, lo studente deve passare diversi sotto-esami, per cui non cambia nulla rispetto a prima della riforma del 2004.
Possiamo già dire come esce l’università da queste riforme?
È ancora presto in realtà: consideriamo che iniziano solo ora a laurearsi gli studenti NMO... ci vuole tempo prima di capire come funzionano le cose.
Ma non c’è in ballo un’altra riforma, stavolta del ministro Gelmini?
Sì se ne è parlato parecchio ma deve ancora essere approvata in modo definitivo. Finora i cambiamenti più grandi sono stati di tipo economico, per limitare l’autonomia finanziaria degli atenei e costringerli a risparmiare.
Qualche consiglio a chi si avvicina alla scelta universitaria?
Almeno due: di scegliere qualcosa che piace, ma ancora di più di scegliere pensando al lavoro. Ci sono troppi studenti che si laureano in materie molto particolari o poco collegate al mondo del lavoro, e poi non trovano un posto. Ah, e poi che non esiste una legge per cui tutti debbano andare all’università. Meglio andare a lavorare, se si fa fatica a studiare. C’è anche il caso che si guadagni di più.

Francesco Grossi

Friday, October 15, 2010

Discorso agli Stati Generali del Lodigiano

Questo è il testo del discorso che ho tenuto agli Stati Generali del Lodigiano, il 1 Ottobre 2010. Il tempo concessomi erano 5 minuti esatti, per cui ho dovuto riassumere ed evitare molti argomenti degni di nota.

Tema: Internet come diritto e strumento fondamentale per il presente e il futuro del lodigiano.

La generazione internet

Oggi sono qui come “giovane”, compito già non semplice, a portare un’idea per il futuro del lodigiano. Questa riflessione è nata pensando a quello che è un tratto caratteristico e originale della mia generazione: internet. Il web è apparso già negli anni ‘90 come fenomeno importante, ed è esploso col nuovo millennio grazie alla banda larga (ADSL), internet veloce e sempre connesso.
Vorrei provare a rendere l’idea di cosa sia il web per la mia “generazione internet”, la prima ad essere cresciuta con internet - e del quale è quindi molto esperta.
- È innanzitutto porta insostituibile di accesso alla conoscenza: una parte sempre più grande del sapere umano è presente in internet (talvolta solo in internet), compreso il materiale scolastico.
- È portale di libere informazioni: sempre più l’informazione è online, che sia fornita dai tradizionali media o da persone che scelgono di condividere informazioni, esperienze, soluzioni.
- È strumento impareggiabile per comunicare: un tempo c’era la lettera, poi inventarono il telefono, ora videochiamate, chat, email e social network. Chi non è online ora è paragonabile a chi vent’anni fa non aveva il telefono in casa.
- È luogo di vita della gente, che ci passa ore e ore, sia per lavoro che nel tempo libero, spendendosi, creando contenuti, facendo cultura.
Vorrei far notare che la maggior parte delle cose che ho citato sono pienamente accessibili solo per chi ha a disposizione internet a banda larga.


Internet nel lodigiano

Una suggestione: dal 1° luglio 2010, in Finlandia, l’avere accesso alla banda larga è considerato un diritto dell’uomo, suggellato a livello legislativo. Nel lodigiano, dove siamo?
Eccomi allora a lanciare tre analisi e proposte.
- Primo. Ancora molti paesini nel lodigiano non hanno la banda larga, perché le infrastrutture non coprono tutto il territorio, e questo è molto grave - crea cittadini di serie B e soffoca l’attività imprenditoriale (quale impresa moderna può nascere dove non sia presente la banda larga?). È chiaro che le aziende private portano la linea solo dove è conveniente farlo in termini di profitto - è allora il pubblico che deve intervenire. Già si sta lavorando in questa direzione, ma va chiarito che l’obiettivo deve essere dare a tutti i lodigiani la possibilità di sottoscrivere un contratto a banda larga.
In attesa di soddisfare questo obiettivo, una soluzione tappabuchi potrebbe essere quella di informare i cittadini su come possono procedere per alternative alla linea fissa, come le chiavette-internet offerte dai gestori di telefonia mobile - una soluzione a cui finora solo i cittadini informaticamente smaliziati possono ricorrere.
- Secondo. La scuola non ha ancora avuto il tempo di assimilare tutte le potenzialità di internet, e spesso prosegue come se non esistesse. Ma la scuola non dovrebbe forse preparare alla vita? Sarebbe interessante proporre agli studenti più giovani - elementari, medie - dei brevi seminari per imparare a vivere bene internet: saper valutare l’affidabilità di una fonte, navigare in sicurezza, essere ben-educati per un uso sapiente e non malato o eccessivo del web, in cui è purtroppo facile perdersi, come in una ragnatela.
- Terzo. La pubblica amministrazione e internet. Bisogna porsi qualche domanda: quanto si può ancora fare per rendere disponibili online i servizi erogati al cittadino? Quante informazioni e formazione sulla vita delle Istituzioni potrebbero essere passate ai cittadini via internet? Penso ai siti web, a newsletter, a manuali d’istruzioni per la modulistica... Tutte cose che possono aiutare i cittadini a sentirsi parte di una comunità che tiene a loro.
La clamorosa distanza tra cittadini e istituzioni va colmata, e il primo passo è far sì che le istituzioni siano presenti nei luoghi di vita delle persone - e oggi il mondo è più vasto di vent’anni fa: oggi il mondo comprende anche internet.

Grazie per l’attenzione.

Francesco Grossi

Tuesday, March 16, 2010

Software Libero: condivisione digitale


In preparazione al prossimo Congresso Nazionale FUCI, approfondiamo un'esperienza molto forte presente oggi nel campo dell'informatica, che promuove la libertà e la condivisione in opposizione a una logica prettamente finanziaria del mondo digitale.

Nel panorama complesso e sempre cangiante dell'informatica emerge da diversi anni una forte corrente di pensiero, detta del "Software Libero". Nata negli anni '80 a partire da gruppi di hacker e patiti del digitale, e pur con diverse interpretazioni tra i suoi sostenitori, si batte per un'idea collaborativa e solidale del mondo.
Questo modo di pensare si esprime a partire dal codice sorgente, cioè quella raccolta di istruzioni, scritte in un linguaggio di programmazione, che costruiscono come mattoni ogni applicazione, programma e in generale software che usiamo sui computer. Se il codice sorgente di un programma è liberamente disponibile, chiunque ne abbia adeguate competenze può capire come agisca quel programma, e potrebbe modificarne qualche aspetto a seconda dei propri bisogni; se d'altra parte il codice non è libero (e detto quindi "chiuso", o "proprietario"), l'utente può usare il prodotto solamente come questo è stato concepito, ignorandone il funzionamento. Questa battaglia per promuovere la pubblicazione del codice sorgente inizia quindi come curiosità per pochi hacker interessati, ma ha implicazioni che sono molto più importanti e toccano il quotidiano di tutti.
Innanzitutto la possibilità di accedere al codice sorgente rende più facile ottenere in modo gratuito un software, dato che a partire dal codice è possibile ricreare il programma. Della maggior parte del software libero è promosso l'utilizzo gratuito: i programmatori creano applicazioni "libere", nel senso che chiunque può scoprire come sono fatte, e usarle gratuitamente (esempi molto conosciuti sono OpenOffice, o il browser web Firefox); in questo caso i creatori del software devono ottenere un compenso in modi differenti dalla vendita, ad esempio tramite il supporto tecnico a pagamento, o a pubblicità veicolata grazie al software (lo stesso modello economico usato dalla televisione). Questo stile di gratuità ha un grande potenziale di solidarietà sociale, in quanto permette a chi ha meno, ad esempio i paesi poveri, di accedere a tecnologia avanzata senza dover spendere eccessivamente.
In secondo luogo, la possibilità di conoscere il codice permette a chiunque di capire come un determinato problema sia stato risolto. Un programma è così sottoposto alla valutazione di molti occhi scrutatori e a una collaborazione di molti per migliorarne i difetti, in modo simile a quanto avviene per l'enciclopedia collaborativa Wikipedia, altro grande esponente di questa filosofia dell'apertura. Questo meccanismo permette inoltre di avere delle certezze sull'effettivo comportamento di un programma, ad esempio per quanto riguarda la sicurezza, la privacy e l'utilizzo di dati sensibili.
Infine, la pubblicazione del codice promuove la creazione di strutture dati standard, ovvero modi di memorizzare tutte le informazioni (dati, documenti, immagini...) che siano fruibili, dato che sono pubbliche. Il classico controesempio è quello del documento in formato Microsoft Word, che non viene aperto correttamente né da programmi concorrenti né da versioni differenti di Office, dato che è in un formato proprietario. Questo problema va a inficiare la grande potenzialità di modifiche e duplicazioni rapide dei documenti digitali, ed è un fenomeno provocato soprattutto da aziende di software che puntano a costringere i propri clienti ad usare solo i propri prodotti per danneggiare la concorrenza e fidelizzare forzosamente gli utenti (fenomeno noto come vendor lock-in).
In generale il mondo del software libero promuove la gratuità, la collaborazione, la condivisione, la trasparenza e la democrazia, opponendosi a un mondo orientato al profitto, in cui le possibilità di una persona siano limitate dalla volontà del potente di turno.


Francesco Grossi

Friday, March 12, 2010

Discussioni sulla fede

Discussioni sulla fede
Risposta ad Alberto

Questo post contiene una risposta alla riflessione di Alberto, che trovate qui. Conviene leggere prima quel post per avere piena comprensione di quanto segue.


Caro Alberto, la tua riflessione sulla religione mi ha coinvolto parecchio, ed ecco qui una risposta da uno che crede in Dio (e più precisamente mi riconosco nel credo Cattolico).
Permettimi di partire da alcune precisazioni su quanto tu scrivi, dato che mi pare che il tuo approccio presenti qualche inghippo.

Per prima cosa, vorrei cominciare con il distinguere la fede dalla religione: la prima è la fiducia verso un Qualcuno che si crede esista (allo stesso modo con cui chiunque ha fiducia nelle persone che ama); la seconda è l'implementazione umana dell'interazione con il trascendente (per qualcuno il trascendente è Dio, per altri un principio, un valore.. per altri ancora lo è il denaro). Mi sembra di capire che le tue osservazioni siano in particolar modo dirette contro la religione, che svierebbe la ragione e i fatti per sostituirla con idee opinabili. Ma dire che "Sono nate così una serie di religioni che a seconda dei casi teorizzano" non rende l'idea del fenomeno religioso: in realtà l'uomo ha sempre avuto bisogno di Dio, come dici tu, per cui ha cercato di avvicinarcisi mediante la religione. La religione è solo un mezzo per concretizzare una relazione con Dio, non è la religione che ha creato Dio per giustificare la propria esistenza (sarebbe un assurdo logico, non trovi?). E questo a prescindere se Dio esista o meno; ma già così guarderei alle religioni con un occhio affettuoso, dato che esprimono da millenni una parte dell'Uomo.

In secondo luogo, mi sorprende trovare tanta teologia nella tua riflessione. Parli di concetti tosti come onnipotenza, onnipresenza, che sono importanti sì, ma non assiomatici per il credente. L'apice dell'esperienza religiosa è la relazione con Dio, relazione fatta di fiducia, amore, rispetto (ora sto parlando specificamente del Cristianesimo) e riconoscimento di Dio nel quotidiano. Niente massimi sistemi: il Cristiano Dio lo vede in chi incontra, nelle cose buone della vita, nella sacra scrittura, e anche in ciò che tu chiami natura: come vedendo una costruzione di un architetto che conosci bene riesci a scorgerne l'intenzionalità nei dettagli costruttivi, così io scopro l'impronta di Dio in ogni cosa, anche nei due famosi atomi che reagiscono. Tutta la teologia è una conseguenza: è la formalizzazione di quanto l'uomo ha imparato di Dio, nei secoli di relazione e storia vissuta insieme. È come l'alta matematica, che ha vita propria, ma che è iniziata e si è sviluppata a partire dalle esigenze pratiche della gente, e rende il meglio quando viene applicata, come noi ingegneri matematici sosteniamo! Se tu mi chiedi allora se credo nell'onnipresenza di Dio posso dunque risponderti affermativamente in base alla mia esperienza; non è invece che in quanto Cattolico, allora credo nell'onnipresenza di Dio. Per quanto riguarda "l'onnipresenza di Dio nel male", penso che tu abbia esagerato nel generalizzare il concetto di onnipresenza. L'errore è però comprensibile da parte di un matematico, dato che abbiamo la tendenza ad aspettarci da tutti la stessa precisione e rigore che il linguaggio matematico ha; purtroppo la teologia assomiglia alla filosofia, quindi non puoi essere così esigente - e questo è ancora a riprova del fatto che è giusto parlar di teologia a partire dall'esperienza di fede, mai parlare di fede partendo dalla teologia. Questo discorso vale anche per le altre tue obiezioni teologiche, penso: se vuoi possiamo parlarne e posso dirti cosa ne penso (ci vorrà un po' ma sono ben disposto a farlo!), ma se non si parte dalla base di una esperienza pratica, è facile perdersi nei meandri del pensiero, dove si può dire di tutto.

Penso che lo scopo della vita sia di essere felici, e ognuno trovi il suo modo per cercare di raggiungere questo obiettivo. C'è chi ci riesce e chi fallisce nel tentativo, chi persevera anche nelle difficoltà e chi si lascia andare al primo soffio di vento. Per me che sono cristiano quelli che sono "sulla via giusta" sono quelli che amano e cercano la giustizia; quelli che non sono sulla via giusta sono da incoraggiare, aiutare e informare sulla possibilità di quella che credo sia una buona vita, sempre nella loro grande libertà di scegliere da che parte stare. Questo l'ho imparato conoscendo il mio Dio attraverso gli altri, attraverso la conoscenza di quella che fiduciosamente credo essere la Parola di Dio, e la mia pur breve vita mi incoraggia, dandomi ogni giorno più volte conferma che ciò che credo sia giusto - la certezza matematica non l'avrò mai, ma se l'avessi dove andrebbe a finire la mia libertà?
Sinceramente,
Francesco